Punto di non ritorno

La disoccupazione torna a crescere

I dati dell’Istat di questo dicembre, che il governo avrebbe voluto indicare a conforto della promessa ripresa, ci dicono tutt’altro. La disoccupazione è tornata complessivamente a crescere anche se quella giovanile appare in lieve diminuzione, Una conferma della coperta troppo corta del governo per cui solo ieri il ministro Poletti chiedeva un sussidio minimo ai disoccupati, visto che i vantati successi del Job act si sono già esauriti. La condizione del governo sul fronte economico non appare dunque così brillante come si vorrebbe far credere, al contrario. E ancora più dei dati, le parole del ministro Padoan in un’intervista a “il Messaggero” lunedì scorso erano inquietanti. Padoan diceva che la Commissione europea si era limitata a certificare la sostenibilità del debito italiano, per cui il governo è soddisfatto della sostenibilità del debito, non che intende ridurlo, tanto è vero che il ministro dell’Economia ha persino suggerito un nuovo codice di permanenza nel club europeo, vale a dire trovare delle norme antishock, dimenticando che l’Unione è stata fatta su norme che impongono il pareggio di bilancio proprio per non finire sotto schock. Considerato che sempre ieri il governatore della Bce, Mario Draghi”, è tornato a ricordare che la ripresa mondiale si allontana, il governo italiano ha solo uno strumento in cantiere per tenere in ordine i conti: le tasse, per cui sarà costretto ad alzarle. Sapendolo bene, il premier si è messo a fare tutto questo baccano sulla flessibilità, per nascondere l’incredibile vuoto di iniziativa del suo governo, che ora ha iniziato ad annaspare e non per il voto sulle unioni civili, ma per come si è svolto l’incontro di Berlino con il cancelliere tedesco. Sul “Finantial Times” si è tornato a leggere di un’Italia pronta ad essere buttata fuori dall’Europa, mentre la “Faz”, il quotidiano di Francoforte vicino alla Cdu, per difendere il ruolo italiano dice che in fondo Renzi non è Berlusconi, ma un socialdemocratico, con cui si può trattare. Speriamo. Perché venir buttati fuori dall’Ue mentre si chiede di prenderne la guida non sarebbe proprio un buon viatico per il futuro dell’Italia che almeno prima di Renzi sapeva stare al suo posto. Nemmeno può essere considerata una circostanza fortunata che il premier abbia chiesto la guida dell’Europa dall’Africa centrale. Paesi come il Senegal e il Ghana ad esempio, hanno problemi economici superiori ai nostri, ma contano su un modello istituzionale molto più coerente di quello che il premier vorrebbe far approvare oltre che di un profilo democratico che permette loro di guardarci dall’alto in basso. Per cui se l’Italia non dovesse assumere la guida dell’Europa, escludetelo, non potrebbe nemmeno aspirare a guidare l’Unione africana.

Roma, 2 febbraio 2016